Cliff Martinez – “I’m In The Pink” (from THE KNICK OST)

Questa musica della televisione di Cliff Martinez per “The Knick” il serial, mi arrotava dentro, molava e fa vibrare l’osso parietale e ve la propongo, mi dice queste parole di lei:

«Oggi il tema strano musicale, di musica strana, delle scene nello schermo ierisera mi diceva: sei in quel luogo gelido del calore bianco. Non usciva dalla mente la Causa della Mente, in forma di musica, di immagini che muovo: io, larva, spezzata come guscio vuoto dall’unghia che mi regge il giorno.
La musica minima dice lo stato dove respiro il respiro e prendo vita senza essere me stesso, Colchide deposta.
Andare a lavorare il lunedì mattino nella città dei colossi minimi, delle sciocchezze, dell’immanità, della paura.
Questi trafori orizzontali nell’aria bassa carica di scappamenti e fumi di metano: ci spostiamo con la croce dei corpi, ammantati da corpi. La mente li denuda.
E’ mattino trasalire.
Sopra il motorino, nel gelo a Monte Nero, si accendono le luci retro e i dorsi delle auto si inarcano sotto lo skyline e la cuspide del cielo in metallo, la città è dedita a se stessa.
La distanza dal lavoro si misura in nomi: quella via, quell’uomo che intercede al semaforo, i vapori del benzene e i suoi ottani, la secca a destra ai giardini di pietra sotto il monumento di piazza Cinque Giornate.
I baristi si concentrano per non avvertire i corpi della clientela, la clientela fuoriesce, nutrita di niente, scampata per sempre, alla solidità dei sogni la notte scorsa dove i corpi erano esplosi in una loce bassa.
Basso voltaggio ovunque verso la casa editrice è il pensiero centrale, la mente centrale. Che mi guida.
La deposizione dei motorini paralleli con i motociclisti chiusi nelle tute North Face.
Calamità è denudarsi dentro la sguardo chi chi vede denudarsi la carne, scava la polpa masticando con la lentezza, mette a nudo l’osso, lo sbriciola, ne fa vapore.
Restano i nomi, queste distanze.
Nella distanza del nome falso dal nome vero, che è sempre un nome falso, imposto dal padre e nutrito dalla madre, si dà l’abisso dell’animale, della persona, di ciò che chiama dalla casa della verità. Questa nominazione ammala la ragazza e tradisce l’anzianità del mondo: le sue còlchidi sono crollate da tempo e la memoria soccorre con le architravi in rovina delle delusioni, questi apprendimenti dell’impossibilità, queste accettazioni. Si depone l’accettazione, si fa sacrificio della resistenza, qualunque, si depone la carne, le parole, la mente, la piccola cosa di se stessi e si vibra sull’orlo, saltuari e metallici, dimenticando di essere consegnati al momento vicario, interludendo minimi, stando afoni: rilasciati.»
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