Un libro è un bestseller o rischia di non essere”: eccola, implicita ed esplicita, la verità di chi guarda in questa fase il mercato editoriale. Una sorta di bivio parmenideo in cui si articola non il testo, ma il suo scambio, il quale appare sempre meno simbolico, sempre più sfuggito all’àmbito del simbolico. Un testo, concrezionandosi in una forma che è detta libro, o esiste perché venduto (e tanto) o proprio non esiste. Questo aut-aut che domina i direttori editoriali e gli editor (una specie funzionariale che gode in Italia di una possibilità autocelebrativa mai concessa nella storia dell’editoria mondiale) è la verità dei commerciali e dei direttori marketing. In un rovesciamento spettacolare dell’effettualità, la distribuzione prende tutto: o sei distribuito o non sei e o sei distributore o non sei nessuno.
In quest’epoca, contraddittoria come tutte le epoche e inutilmente descritta o interpretata in tempo reale, la distribuzione è l’autentico momento politico. Amazon non propone un modello di contenuto, apparentemente, bensì un modello distributivo. Passa qualche anno ed ecco che è chiaro a tutti che in quel modello distributivo si annidava un modello di contenuto. Il libro deve essere godibile ed efficace. Allora gli editor di tutta Italia, come un sol uomo o una sola donna, imporranno ciò che è il godibile e l’efficace secondo loro: una certa facilità di lettura, una certa linearità, un certo linguaggio e, per carità!, l’emozione. L’identificazione del cretino è la massima preoccupazione di questi operatori suppostamente culturali. Si tratta di un cretino idealistico, un cretino iperuranico, un cretino che nemmeno a cercarlo con la lanterna si riesce a trovarlo nei quattro cantoni del pianeta, poiché in tutto il pianeta è soltanto la Svizzera a disporre di cantoni. E dopotutto chi opera in questo modo sul mercato editoriale ha in mente un’editoria idealmente elvetica, fatta sul modello ipotetico che un italiano si fa della Svizzera: neutrale, ordinata, borghese in un tempo che si è mangiato la classe media e, con quella, qualunque borghesia.
NextBigBook è l’ennesima riprova di quanto feroce sia la lotta contro il testo da parte dell’umanità occidentale. Si tratta di un algoritmo capace di guidarci nelle secche di un mare che non a caso potevamo già definire morto: è il mare del guadagno attraverso il consenso di massa, oceanico appunto. Sembrerebbe garantito il diritto a decidere, ma la verità amara è che non esiste alcun diritto e tantomeno esiste una decisione. Armonizzarsi con ciò che viene miscelato dai bot che raccolgono i “data”, giocare a predirlo e però con un margine di rischio minimo: ecco i toni di una nuova selezione del tutto innaturale, dove vanno a catafascio le intenzioni primarie.
Quali sono le intenzioni primarie, nel caso di un editore? Anzitutto il desiderio. L’editore è editore per seminare in una lingua molti desideri ed eventualmente per concedere l’ombra di un godimento. L’editore sa cosa piace a lui e all’editore piace il testo, quel testo che pubblica. Accompagna un lavorìo del testo attraverso un campo di forze. E’ per caso l’editore una impresa privata che mira al guadagno? Certamente. Ma il guadagno è veicolato dall’espressione del desiderio. Il desiderio tempera il guadagno. Tutto qui. Anche il grosso editore vive in questo modo? In parte. Risale a Vittorio Sereni la politica del cosiddetto “doppio binario”: testi che gli piacevano in quanto fondamentali e, accanto a questi, testi che fomentassero l’ingresso di denaro sonante nelle tasche di Alberto Mondadori. Il quale si permise di pagare un vitalizio a Stefano D’Arrigo perché portasse a termine la sua opera Horcynus Orca. Operazioni che NextBigBook non può effettuare né permettere agli editori di effettuare, nonostante i biggest data che si illude di possedere e smistare. Ma il possesso non è più un valore o un potere: valore e potere risiedono in questa fase nel distribuire, non possedendo.
Perché NextBigBook non può condizionare l’editoria? Anzitutto perché non si chiama LastBigBook: non è capace di imporre il catalogo, sporgendosi sempre e soltanto in modo funzionale e meccanicistico su un brevissimo “presente avanzato”. Stando a un simile algoritmo, un catalogo italiano plausibile degli ultimi anni sarebbe un catalogo di varia saggistica, mentre in narrativa ci sarebbe da capire se è catalogo la sagra delle 50 sfumature, visto che il gradimento e l’espressione del gradimento medesimo sono stati intensissimi, ma su Tripadvisor risulta che il libro più abbandonato negli alberghi è proprio quello della James. Ciò non toglie che la voce Wikipedia dedicata al bestseller della James sia strutturata e lunga quanto quella dedicata a “I demoni” di Dostoevskij.
Inoltre c’è un fatto intrinseco di “big data”. NextBigBook non sa dove si dirigeranno gli influenzatori e perché si dirigeranno proprio lì o là. Gli influenzatori, una specie osannata soltanto poco meno degli editor italiani, vivono di desideri e di nascondimenti. Coincidono soltanto in parte coi lettori forti. Mia zia Gilda non è influencer, ma è una lettrice forte: acquista circa duecento titoli all’anno. Tuttavia non clicca sulle stelline, nonostante frequenti Amazon e Goodreads (non frequenta più Anobii, invece). E non è soltanto questione della zia Gilda, della quale per pudore non rivelo l’età, nonostante non abbia difficoltà ad ammettere che dispone di un account Facebook. Il fatto è che l’influenzatore, almeno tanto quanto il lettore forte, non necessariamente mette piede in libreria. Io sono un lettore forte e in parte un discreto influenzatore, per esempio, ma il mio “core” (per esprimermi nella vecchia neolingua che parla il fondatore di NextBigBook) è ormai il cosiddetto “paper on line”. Il mercato è più nebulizzato che mai. Il catalogo è la grande risorsa e la grande difficoltà. Il catalogo è reperibile soltanto attraverso iBS o Amazon, che sono peraltro gli unici distributori che ancora mi permettono l’esperienza della serendipità, la quale esperienza non mi viene più concessa da alcuna libreria di catena. Vagolo su iBS o Amazon senza il desiderio di acquistare e all’improvviso, di link in link, ecco un testo che mi piace e lo compro. Magari ho impiegato un’ora a navigare in un catalogo. Se sono su Amazon da più di un quarto d’ora, non c’è bisogno di algoritmo: assicuro che sto navigando in un immenso catalogo.
Non è in questa direzione algoritmica che l’editoria andrà. Sarà un elemento destinato a esserci tra molti altri, senza particolari significati storici. Certo si dovrà fare differenza tra l’editoria italiana e quella straniera. L’editoria straniera è molto dimagrita nel corso dell’ultima crisi economica, mentre quella italiana non si è limitata a un dimagrimento: è in anoressia. Un anoressico in euforia da naufragio. Questo avvitamento in una crisi che non è dovuta al momento economico, che lo si voglia o no, fa trapelare fattori storici e antropologici fatali, per quanto concerne l’Italia, che è un’area linguistica in cui la cultura soffre di un discredito a priori, tanto quanto di una sindrome da élite legittimate da nessun passato e capaci di nessun futuro. In Italia il bubbone editoriale scoppierà ulteriormente, con contrazioni di mercato vertiginose, mentre crescerà in modo altrettanto vertiginoso la falange dei lettori cosiddetti “forti”.
Tutto ciò per argomentare una semplice verità: l’articolo su NextBigBook, il fondatore di NextBigBook e NextBigBook medesimo costituiscono esattamente l’opposto di quanto io (ma non soltanto io) penso sia e il fare editoriale e, non tanto ovviamente, il mercato editoriale. Se spingo a fondo l’acceleratore mercantilista editoriale, farò un salto di velocità che annullerà la frenesia apparente di “questa fase”. C’è l’umanismo e c’è l’umanesimo, in fondo a questo salto quantico. Quindi, non c’è quella parodia di umanismo che i big data ingenuamente mimano.
Il fare editoriale parte da un certo svagato silenzio e da un atteggiamento sommesso, che è quello che precede e segue il raggiungimento del piacere. Che l’editore sia un semplice tipografo o un promoter o un editore integralmente editoriale, per la gioia di chiunque ami leggere, la costante fisica e matematica del rapporto mediato da un testo rimane proprio quel processo in cui eviene il piacere, in un delirio che disturba assai poco, forse i vicini di casa, ammesso che non siano usciti.
Il titolo ha senso, la copertina ha senso, l’aletta ha senso, ma ha senso anzitutto l’esperienza di senso che chi ha scritto ha trasmesso a noi, glie editoriali, cioè i secondi lettori, che siamo privilegiati per questa condizione discreta e transeunte, sfaticati nella penombra, indifferentemente iperconnessi o soli senza possibilità di uscita dalla nostra monade scomoda e complessa, se non tramite il tuffo nel testo, in tutto ciò che esso muove in noi e fuori.
“State attenti agli scrittori” ammoniva W.S. Burroughs “Nessuno ha venduto tanti Levi’s quanto Jack Kerouac”. Ecco, l’editore sta più verso Kerouac che non verso Levi’s, anche se non è Kerouac e questa è la sua fatale secondarietà. Perciò: state attenti agli editori.
Questo intervento è uscito il 25 giugno 2014 su Pagina99