Il 2017 è stato per me l’anno del libro “History”. Bisogna intendere, circa la scrittura, che un’epoca, la quale ha in odio qualunque complessità, non può assaporare lo stile, che è tutta l’intuizione, negando diritto di asilo o di godimento delle più ardite rivelazioni. Così questo tempo non tollererebbe che venissero scritte parole come queste: “Chi cerca, non smetta di cercare finché non avrà trovato. Quando avrà trovato, si turberà. Quando sarà turbato, si meraviglierà e regnerà su tutte le cose”. Oppure come queste: “Se non conoscerete voi stessi, allora sarete nella privazione e sarete voi stessi privazione”. A sfavore di simili giri di frase gioca il fatto che tutta la storia si condensa in pochi intendimenti, privi tuttavia di parole. Conoscere la trama, il più velocemente possibile, crea l’illusione di conoscere se stessi. Ogni parola evapora, senza addivenire alla profondità di chi legge o scrive, se la sostanza dell’esperienza con le parole diviene entrare una mappa di mondi. Non è sufficiente. E’ una cattiva ascesi, in cui il divertimento e la conoscenza si sperimentano come si scivola nel sonno, senza fatica. Solo quando ci si sia trovati in un territorio, sul quale non è possibile posare alcuna parola – solo allora è possibile scrivere. Ho cercato di scrivere così, con “History” (Mondadori), tentando di trascinare me stesso e chiunque legga in un territorio aspro, in un’impresa ardimentosa, in un ventricolo svuotato di realtà visibile, in un sonno senza sogni. Spero che coloro, i quali hanno avuto il buon cuore di leggerlo, abbiano, se non altro, apprezzato il tentativo. A costoro e a tutti gli altri: buon 2018.