Questo è il volto di Nikolas Cruz, pluriomicida nell’ennesima riedizione del dramma di Columbine negli States. Ha fatto diciassette vittime in una scuola a Parkland, in Florida. Si può dire che l’immagine frontale è anche un profilo: un profilo psichico. L’esorbitante vuoto che irradia dal suo sguardo è reperibile in ogni sua immagine, rintracciabile in Rete. E’ certamente un lombrosismo, quello che applico, ma in questi tempi di purissima semplificazione dell’umano a un orrido duepuntozero della specie stessa, soprattutto nelle sue evenienze occidentali più spettacolarizzate, una categoria semplificante come il lombrosismo rivela una verità più complessa di quella banalmente riconducibile all’assenza di empatia o alla presenza di psicosi. C’è, in questo sguardo trasognato nel nulla, una verità urgente, di cui le fisionomie sono il portato più letterale e preoccupante. L’accelerazione verso un’esistenza non più embricata con l’emotivo, o con il mistero abissale del desiderio, funziona per memi, per applicazioni unidimensionali di una teoria dell’informazione banalizzante e antiumana. Prima di preoccuparsi circa quanto impatterà sulla nostra vita l’emersione delle macchine, sembra di potere apprezzare un’emergenza del macchinico nell’umano. E’ una costumanza estremamente sconcertante, per chi si è formato in altri tempi e ravvede gli esemplari più recenti alla luce polarizzante di uno svuotamento di espressioni, di posture standardizzate, di salti logici che necessitano una correzione algoritmica. E’ una tendenza che si sviluppa nei decenni, ma che oggi raggiunge un’estensione clamorosa. Il volto non precisamente inebetito che continuamente è illuminato dai device, oggidì, esonda nel tempo che non si consuma davanti allo schermo retroilluminato e disegna un mutamento in direzione dell’alieno, dell’ultracorpo, della mistificazione di se stessi in assenza di se stessi. E’ una norma occidentale, appunto. La risultanza di un’educazione distante dall’elaborazione della storia, dal contatto con la noia e la fatica, dall’unificazione in una personalità della legione che l’io è sempre stato. E’ il Breivik che in Europa ha messo in ginocchio, da solo, un’intera nazione per un giorno e che ha urgenza di espandersi e fiorire in un nichilismo realizzato, di nuovo tipo: ogni strumento vicaria la personalità, che rimane efficace nel mondo, ma essendo strutturata a strappi, a discontinuità, a visioni parziali e assolutistiche. E’ l’umano prima di qualunque ibridazione, che intrattiene con la morte un rapporto casuale, privo di ogni eterogenesi dei fini, una randomizzazione dell’atto vissuto, uno pneuma cattivo. Di ciò non si smetta di scrivere, si continui a percepire l’elemento esogeno, avvertendo il turbamento che ci rende umani e connessi a verità profonde che l’umano lo trascendono, mentre qui non c’è trascendenza, bensì rimozione, negazione, tensione elettrica, priva di direzione. Sono i fiori del male di questo tempo, erano una seminagione nel passato occidentale. Tali fiori ci inclinano alla preghiera e alla più severa delle meditazioni.