Su “Reality. Cosa è successo” – di Silvia Bottani

Con molto ritardo, mi sono accorto di ciò che su “Reality – Cosa è successo” ha scritto Silvia Bottani, che leggo da anni su testate splendide come Doppiozero o Riga, autrice edita da SEM con “Il giorno mangia la notte”. Lo riporto qui di seguito, con gratitudine e ammirazione: «Ho sentito spesso ripetere la domanda “Chi scriverà il romanzo della pandemia?” e altrettanto spesso rispondere che ci vorranno anni prima che il vissuto venga metabolizzato e restituito in una forma letteraria soddisfacente, che ci vorrà un grande autore per concepirlo e anni di distanza per rielaborare ciò che è stato, mentre le redazioni sono invase dai manoscritti di spericolati che si cimentano con la distopia che si è fatta reale (non pare neanche vero, che occasione ghiotta). Un libro assoluto però è già stato scritto ed era probabilmente così indicibile ciò che ne marca le righe da essere già fuori scena, troppo reale per commentare il reale, insostenibile nell’operazione di disvelamento. Il romanzo – perché si tratta di un romanzo, altrimenti quale lingua avrebbe potuto dire tutto questo? Un testo sacro forse, oppure un paper scientifico, nient’altro di possibile – è “Reality” di Giuseppe Genna, un testo che è esso stesso malattia, su cui ricade la colpa imperdonabile di riportare il lettore alla cognizione del dolore, spazzando via dall’orizzonte le riaperture, le mete delle prossime vacanze, gli aperitivi su Zoom, la nuova serenità vaccinale, le task force ridicole. Genna punta lo sguardo dove non si può guardare, si spinge e resta nell’oscenità di una pandemia che ha riportato la morte al centro del quotidiano globale, rifiutando l’escapismo e la possibilità della consolazione offerta dal rimosso. C’è un’insonnia febbrile che spinge l’autore – protagonista in giro per la città ammalata, che gli impone di continuare a guardare, di vegliare su chi finisce nella solitudine, chi si sfinisce negli ospedali, sugli abbandonati e sui traditi, sull’infinita perdita che conteggia le giornate da tredici mesi a questa parte, che gli fa esperire il contagio e salda realtà e allucinazione. Quando l’intrattenimento finisce, rimane spazio solo per l’annichilimento o la negazione. Mentre programmiamo la prossima estate e immaginiamo la nuova normalità che ci aspetta come un Eldorado, dovremmo assumerci come impegno la lettura di questo romanzo infetto, perché forse non abbiamo ancora compreso cosa ci è accaduto, cosa accade e cosa, rovinosamente, continuerà ad accadere.»

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