Stare su Facebook?

Non c’entra Cambridge Analytica. Incomincio a chiedermi che senso abbia stare su Facebook. Ormai la visibilità dei contenuti è ridotta a un quarto, rispetto alle metriche precedenti. La proposta di contenuti da microblogging è penalizzata. Sembra di ragionare o parlare in un deserto, a parte il manipolo di amici sinceri con cui si interagisce. Era molto semplice e bello imparare dagli altri, assorbire ii loro suggerimenti, osservare proposte e giudizi: non più. Potrei mettermi qui a scrivere di un incontro su letteratura e male, tenutosi l’altro giorno a BookPride – lo si condividerebbe con poche persone, probabilmente qualche decina in meno, rispetto alle persone caritatevoli che mi leggono sul sito. Trasferire materiali e presenza su Instagram non ha senso, anche a partire dal fatto che non si pubblica da Web, ma solo da app su smartphone. Intendendo proporre contenuti secondo un frame storico evidentemente penalizzato in quanto pregresso e superato, ha senso se e solo se: 1) si è persone di successo mediatico abnorme; 2) si è veicolati da testate o magazine o veicoli che raggiungono, anche a pagamento, una collettività più vasta di quella a cui si può aspirare con il lavorio personale, che si è svolto con passione finora. Non so quali alternative percorrere, per raggiungere un minimo di lettori interessati ad analisi e dialettiche. Io proseguo qui, in una militanza più scarna nei risultati e in una sensazione di vaga mestizia riguardante il medium. Poi, quando dovrò proporre lo studio di counseling esistenziale o i corsi di scrittura, *pagherò* per trovare *visibilità* – per la prima volta nella mia vita accedendo ai protocolli della pubblicità che si fa esistenza e retorica del discorso. Aspettiamo l’ulteriore upgrade, il 3.0 di me stesso e di voi medesimi, la disrupture o il breakthrough che spalanca il sol dell’avvenire e del divenire piccolissima nicchia, egoica e destrutturata, tweetdeck dell’anima e debugger del pensiero.

Il trapasso social

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Non comprendo bene se si tratta di un periodo di distrazione sana e imposta da reale tridimensionale, ma ho l’impressione di un afflosciamento abbastanza repentino delle attività di comunicazione su Facebook. L’arretramento di Twitter è misurato e conclamato dalla stampa mondiale. Mi viene detto che l’emersione mediatica di Snapchat è già in asincrono con quanto stanno scegliendo gli adolescenti (come Musically). Su Facebook scruto stanchezze lessicale, abbreviarsi dei post, minore urlìo intorno ai temi del giorno e dell’ora, rattrappimento della rappresentazione enogastronomica e felina, azzeramento o quasi di note e contenuti seri, affievolirsi delle promozioni. Magari si tratta di un’impressione del tutto personale. Tuttavia, se fosse vero, ci sarebbe da microriflettere circa la velocità del passaggio al 3.0, cioè all’evoluzione del device e, conseguentemente, ai nuovi software per device diversi (Hololens e caschi VR sono esempi di evoluzione dei device). Continua a leggere “Il trapasso social”

Il testo integrale del “DISCORSO FATTO AGLI UOMINI DALLA SPECIE IMPERMANENTE DEI CAMMELLI POLARI”

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Questo è un post eccezionale, in quanto è storico: mai è stato pubblicato un intero libro in un post Facebook. Lo pubblica l’Italia, nella persona di me stesso. Il libro in questione si intitola “Discorso fatto agli uomini dalla specie impermanente dei cammelli polari” e fu pubblicato nel 2010 da :duepunti edizioni di Palermo. Si tratta di una sorta di operetta morale, i cui protagonisti sono strani animali pensanti e parlanti, ovvero cammelli candidi che risiedono al Polo. Oggi questo testo torna disponibile, il che significa che nessun editore lo stamperà, perché nel corso di cinque anni si è trasformata radicalmente la scena culturale, cosicché a pochi interessa di un testo e ad ancora meno di un nome, in questo caso il mio. Tuttavia ad alcune persone potrebbe incuriosire. Per questo lo metto a disposizione qui e anche fuori dal social network. Ecco dunque un intero libro in un post.
Continua a leggere “Il testo integrale del “DISCORSO FATTO AGLI UOMINI DALLA SPECIE IMPERMANENTE DEI CAMMELLI POLARI””

David Lynch e la metafisica in tv

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Eccezionale apparizione di David Lynch nel teatro più lynchiano che esista al mondo, cioè l’Italia. Venuto a presentare il programma di meditazione trascendentale promosso dalla sua fondazione, costretto a stare per ore con il capo della Provincia di Milano, che mi pare si chiami Podestà, viene costretto, come da leggi inviolabili di un “Bardo Thodol” cisalpino, a entrare nel gorgo dei demoni italianissimi, che spaventerebbe anche l’anima più efferata e la ridurrebbe in lacrime a chiedere perdono all’inesistente iddio. Eccolo dunque seduto, David Lynch, a “Che tempo che fa”, nel salotto di Fabio Fazio, il quale appare emozionatissimo di fronte a questo grande maestro del cinema. Improvvidamente, però, forse non calcolando per l’emozione o forse perché i suoi autori calcolano proprio in base all’emozione, Fabio Fazio invita Carlo Verdone a unirsi a loro. Mal gliene incolga, alla storia del cinema: siamo a “La grande bellezza” contro “Inland Empire”, a “Borotalco” contro “Mulholland Drive”. E si vede. Il povero Verdone addiviene all’istante una delle sue esilaranti caricature: quello che non capisce e fa finta di capire, con lo sguardo bucefalo che solca il mezzocielo, la domanda sempre sbagliata che viene formulata nel disastro di una dialettica impossibile. Così ecco che i due italiani chiedono a Lynch dell’influenza dell’opera di Bacon sui suoi film: nessuna, assicura il regista. Siccome Lynch ha scelto un quadro per parlarne e si tratta di uno strepitoso Magritte, Verdone tira in ballo Hopper, i colori alla Hopper: non c’entrano nulla, ribadisce il regista. Il quale descrive la scena del Magritte, narrando una possibilità e senza alcuna ambizione da critico d’arte: ma è fantastico osservare Verdone che fa il gesto tipo “Ammazza a’oh! Anvedi che spiega!”, un po’ come certi signori dal salumiere quando questi fa loro assaggiare un fettino di culatello speciale speciale. Fabio Fazio allora, attingendo a una citazione da un libro firmato Lynch (“In acque profonde”, Oscar Mondadori), mette in bocca al regista di “Blue Velvet” l’affermazione che “il cinema è morto”. “No no no no no!” si sente rimbombare: la voce ipernasale e lynchiana di Lynch si fa gutturale – il problema è che gli italiani hanno sbagliato la traduzione, lui intendeva dire che “il film” è morto, cioè “la pellicola”, non l’arte del cinema, che non morirà mai. Verdone annuisce e conferma: ha sentito dire la stessa cosa da Lynch tempo fa, durante un convegno, lui era tra il pubblico, così nel frattempo informa Lynch che lui era nel pubblico di Lynch. Allora parte un pazzesco elogio che l’autore di “Twin Peaks” tributa a Federico Fellini, richiamando l’Italia all’attenzione per questo genio che, qui da noi, viene così superficialmente celebrato senza essere compreso e “sentito”. Alla fine di questa tirata, che vale da sola la visione del video qui linkato, è Carlo Verdone a pronunciare commosso: “Grazie”. Carlo Verdone ringrazia David Lynch che ha elogiato Federico Fellini. Allora Verdone se ne va. Ed ecco che arriva lo tsunami che mai, mai e poi mai, un presentatore occidentale desidererebbe gli si abbattesse addosso, a lui e alla trasmissione. David Lynch, infatti, inizia a parlare di metafisica. Metafisica!!! Fazio non sa cosa fare o cosa dire (anche se, a mio parere, dopo questo incontro con Lynch incomincerà a praticare un po’ di trascendentale: si vede che lo prende, lo si percepisce proprio…). Quattro minuti storici di televisione italiana: David Lynch spiega il Vedanta, riassume l’unificazione delle forze fondamentali praticate dalla quantistica, mette materia e mente sul medesimo spettro, parla di emergentismo e di vuoto. Non si è mai ascoltata una cosa simile dai tempi di Carmelo Bene. E’ semplicemente pazzesco.
David Lynch fa allegria. E’ un uomo realizzato, dinamicamente realizzato. Può dare sfogo alla propria creatività. Ciò che sarebbe il suo dharma è per lui l’attualità del suo karma. Regala molto a chiunque, in termini di profondità, perturbamento, saggezza, movimento. E’ bello vederlo invecchiato, che sprizza la gioia di un bambino. Io gli sono grato, sono felice di vivere nel suo tempo e sono stratosfericamente contento che mi si manifesti uno, all’ora di cena, che in tv mi dà lezioni di Vedanta ed è David Lynch.

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True Detective | HBO

E’ un serial strepitoso, semplicemente fantastico, allucinatorio e impressionante, per narrazione e produzione filmica: si intitola “True detectives”, i protagonisti sono Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Una Louisiana al tempo stesso troppo fisica e troppo metafisica, ogni inquadratura a mostrare la corrosione a cui la realtà è sottoposta dal male naturale, la desertificazione del mondo rotta da due personalità con psicologie né complementari né irriducibili l’una all’altra, i grandi cieli rugginosi e la vegetazione delabrè, una trama sdrucita con sapienza al fine di permettere voli pindarici e orrorifici, una sapienza nei dialoghi che fa piangere lo spettatore italiano quando pensi ai produttori e sceneggiatori suoi connazionali: nonostante l’innesco di trama, da thriller dell’occulto, si è travolti dal gelo disumano, o fin troppo umano, a cui espone la maschera inquietante e parkinsoniana di Matthew McConaughey, il quale interpreterebbe alla perfezione William Burroughs, e si stenta a credere al prognatismo criminale di Woody Harrelson calato in un personaggio che dovrebbe essere l’integrato, il normale, lo stanco, il coniugato, il postborghese, il normalissimo. Il tutto sta sotto la spada di Damocle narrativa di un’indagine postuma ai fatti che si vedono raccontati. Così, di fronte alla telecamera che testimonia di un infinito ed estenuante e clamoroso interrogatorio, Matthew McConaughey chiede, ai poliziotti che gli fanno le domande, se hanno figli; e ne hanno; quindi dice loro: “Vi siete dunque piegati alla ybris di strappare le anime dei vostri figli dal loro perfetto silenzio prenatale, per condurle nella carne, in questo universo”. Siamo in area interdetta: la radioattività è alta. Vengono posizionate barriere per evitare che la gente ci entri facilmente. Nessun italiano sa varcare quella soglia.
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Caso Uva, alta tensione fra testimone e pm – Repubblica Tv – la Repubblica.it

E’ urgente e necessario che si condivida e ci si esprima su il video di questo interrogatorio impressionante, a cui è stato sottoposto il testimone chiave del caso Giuseppe Uva. Contro il pubblico ministero Agostino Abate, che nel video potete vedere come conduce l’interrogatorio, il ministero di Grazie e Giustizia ha avviato un’azione disciplinare. Tutta la mia solidarietà al testimone Alberto Biggiogero e alla famiglia Uva. Per informazioni sul caso, che manifesta purtroppo tragiche analogie con l’omicidio di Stefano Cucchi, il link per informarsi è questo: http://ift.tt/1msZSBm

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Dialoghi di Estetica. Parola a Davide Manuli | Artribune

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Intervista a Davide Manuli: su “Beket”, “La leggenda di Kaspar Hauser” e la macchina da guerra del cinema d’arte:
“Tutte le Biennali d’arte contemporanea di Venezia messe assieme non partoriranno mai il ‘Faust’ di Sokurov. Non c’è paragone. Detto questo, mi auguro davvero che l’arte contemporanea inizi a dare un occhio ai registi che fanno del cinema la loro arte: Carax, Lynch e Sokurov, per esempio, dovrebbero avere una sala tutta loro nei musei.
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Quel brodo primordiale del nordismo

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Era facilmente prevedibile quello che sarebbe emerso dalla congerie orrenda e dal venefico brodo primordiale, non soltanto nordico, in cui prospera quel fenomeno politico che è la Lega Nord. E’ un insieme di brutture spirituali e di mostruosità collettive, che ha una cifra antropologica precisa. Tale cifra ottiene il suo apice più visibile alle origini della manifestazione di Adolf Hitler. Si tratta della costruzione perversa di un esercito di “camicie verdi” a supporto del movimento nazionalsocialista di Hitler: il corpo delle Sturmabteilung agli ordini di Ernst Röhm. Temperamento lombrosianamente adatto alle sagre tutta birra e weißwurst, in cui da due decenni e mezzo i popolani leghisti sembrano trovarsi a loro agio, Röhm era una specie di weißwurst crudele, violento, neghittoso davanti a qualunque esercizio di democrazia. Non è secondario l’apporto che egli fornì a Hitler in termini di ideologia e pratica dell’organizzazione e dell’ottimizzazione sociale tramite violenza. Nascondeva la propria omosessualità, che intendeva quale forma di virile cameratismo, e fu la vittima principale della cosiddetta Notte dei Lunghi Coltelli, un evento anch’esso emblematico e ciclico in queste frange di umanità occidentale, come dimostra la vicenda del padre putativo della stessa Lega Nord, ripreso di volta in volta da desolanti telecamere a convegni vuoti, umiliato alle supposte elezioni per il segretario dopo tre decenni di militanza e milizia politica nel suo movimento, incredibilmente capace di ripetere à go go performance con il suo braccio leso che sferra un pugno immancabilmente al pugno di Calderoli, il quale ghigna allegro, in una forma di sardonico sprezzo dei fati e degli dèi pagani.
Oggi la Lega Nord, con le intuizioni geopolitiche dell’ex neofascista Borghezio, fatte proprie da Salvini, si propone come punta di zircone del populismo europeo. La civiltà italiana è quella che è, si può prevedere un buon successo di questa istanza orripilante (la quale è frenata, per ammissione stessa del leader, dal Movimento 5 Stelle, che convoglia nel suo elettorato le spinte angosciantemente qualunquiste, che nell’ultimo trentennio si sono rivelate di marca brianzola DOP, ma sono comuni all’intera estensione dello Stivale). Tra queste deliranti intuizioni geopolitiche, maturate nelle falangi più disgustose di una cosa che si chiamò Nuova Destra a fine Settanta e negli Ottanta e nei primi Novanta italici (lì miliziava il Borghezio stesso), c’è tutto un apparato di tecniche attive e preventive rispetto a certi risultati da ottenere. Ecco dunque “la negritudine” invocata a proposito di Cécile Kienge, la delazione e la proscrizione difese con argomentazioni pseudodemocratiche, l’urlo belluino come griffe politica, il sangue alla testa e il suolo pulito con lo spic&span etnico. Inutili le prese di posizione che tentano il buon senso, contro questo apparato di guerra interna, autentico stato germinativo della dominio della lotta e della supremazia del biotipo verdecamisàdo. Essi marciano o marcisono, non si sa bene, al ritmo di canti völkisch e di borborigmi gastrointestinali, attenti al particulare che sempre si traduce nella moneta sonante che desiderano avere a disposizione tanto e generosamente elargito dalla Dea Briantea, rubizzi nella psiche e coi capillari gonfi nel corpo grossolano, torniti e adiposi, artritici e saggi di una saggezza campestre (purché i campi siano lavorati chimicamente), tutti protesi al sol dello svenir o del venir meno di qualunque libertà, a favore dell’ordine sociale della stia o dell’aia o della schiera di villette, francesi del Midi o bavaresi o fintopalladiane. Sono i cospiratori dell’universo Pam. Se la prendono con i cambiamenti nei reparti dell’Esselunga, perché il burro non è più dov’era una volta. Chattano immancabilmente per una scopata, virilmente cameratesca, ben nascosta e notturna, non fanno vedere al figlio la cronologia di Chrome altrimenti vengono fuori indirizzi di siti animal. Sono ovunque, poiché ovunque ha un nord, anche Lampedusa. Le loro parole di spregio contro qualunque sud del mondo o dell’anima compilano un compendio di abnormità, contrarie alla storia della specie, poiché non ci sarebbe alcuna specie proveniente dal cuore dell’Africa e in migrazione nomade verso Bering, stando a quelle panzane tragiche e criminali, aggressive e crudellime. Nelle loro tavernette, nei loro sottoscala, nei loro rialzi dei tetti urbani, si consumano fatti segreti e impressionanti. I loro delitti li appassionano, avvengono a Erba, a Garlasco, in posti così. Già uno come Paolo Poli dissolve il loro legame, che è chimico, è elettrico, non è empatico. I loro neuroni specchio stanno lì ad aspettare ancora che qualcuno si specchi. Sono un infernale carnevale di carne, un Hellraiser lombardo, un Nightmare amburghese, un horror delle Fiandre, una bambola assassina che parla con timbro lepeniano.
In realtà, si alza un signore qualunque e ne svela l’inconsistenza, la grottesca tragedia della farsa. Condividete questo video, educativo e pieno di amore.

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