da Transport to Summer
Un giovane seduto al suo tavolo
Tiene in mano un libro che non hai mai scritto
Fissando le secrezioni delle parole nel mentre
Rivelano se stesse.Non è mezzanotte. E’ mezzogiorno,
Il giovane è ben delineato, è uno della compagnia,
Andrew Jackson Qualcosa. Ma questo libro
E’ una nube in cui rumina una voce.E’ un fantasma che abita una nuvola,
Ma un fantasma per Andrew, non rinsecchito, catarroso
E pallido. E’ il nonno a cui voleva bene,
Con una comprensione accresciuta dalla morteE le associazioni oltre la morte, anche se solamente
Tempo. Che grande cosa è credere
Di capire, nelle rivelazioni intense
Di un parente in lingua romanza.E non avere ancora scritto un libro in cui
Si è già un nonno e avervi messo
Alcuni suoni significativi, una fine momentanea
Delle complicazioni, è bene, è un bene.
* * *
The Lack of ReposeA young man seated at his table
Holds in his hand a book you have never written
Staring at the secretions of the words as
They reveals themselves.It is not midnight. It is mid-day,
The young man is well-disclosed, one of the gang,
Andrew Jackson Something. But this book
Is a cloud in which a voice mumbles.It is a ghost that inhabits a cloud,
But a ghost for Andrew, not lean, catarrhal
And pallid. It is the grandfather he liked,
With an understanding compounded by deathAnd the associations beyond death, even if only
Time. What a thing it is to believe that
One understands, in the intense disclosures
Of a parente in the French sense.And not yet to have written a book in wich
One is already a grandfather and to have put there
A few sounds of meaning, a momentary end
To the complication, is good, is a good.
Questa poesia di Wallace Stevens mi si manifesta colma di senso e precisione rispetto a ciò che non riesco a dire e mi si segnala con silenziosa pressione dall’interno. E’ anche ciò che intendo, in altri momenti in cui la mente si condenda in dinamiche di pensiero, quando esprimo una visione personale rispetto alla prosa e al suo imminente slittare verso la poesia, e viceversa: che mi si rende nitida in ciò: è certa pittura, che va a farsi. Un quadro non è fermo, un’immagine non è ferma e la sua lingua è un momento di tremolio, di balbettio, un ruminare da dentro una nube in cui abita uno spettro sereno che è accresciuto da una qualche comprensione della morte e, quindi, dell’errore stesso della morte. E il personaggio è un Qualcosa, ben delineato come delineata è la rivelazione di altro da lui, sfumato eppure preciso, un parente nel senso non inglese del termine – non un genitore. E le parole sono secrezioni, suoni con un qualche significato, ma il senso è più largo. Il libro non esiste. La storia è rattrappita ed essa stessa tremola, come tutto in ogni scena sempre. “Lean” non è “clean” e poi di colpo lo è. Secondo me, questo è il contemporaneo, e la letteratura va dove già è Gerhard Richter.