“Stati di grazia”: un capolavoro di Davide Orecchio

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Qui c’è un libro eccezionale, una prosa che coinvolge e stordisce, vicende che si intersecano per poi divergere per poi collidere e quindi per unificarsi in una storia generale delle avventure umane, troppo umane, addirittura angeliche, con cui la specie traccia la sua presenza nelle pietre e nella memoria. E’ tutto concretissimo, qui, in questo “Stati di grazia” (il Saggiatore), è tutto affabulatorio e drammatico, assoluto e topico, locale e universale, come la skenè tragica impone. Questo caleidoscopio novecentesco di storie e di esistenze che rimbalzano tra Sicilia e Argentina, questo diorama che viene ricostruito mentre sta roteando, questo astrolabio dell’umanità dolente e magnifica – tutto ciò è condotto da Davide Orecchio secondo i ritmi sorprendenti e i moti connettivi di una prosa che mi leva il fiato e che già nel precedente “Città distrutte” (Gaffi) si elevava al novero ristretto delle scritture autenticamente letterarie del nostro presente italiano. L’immensa macchina della storia è vista qui azionarsi nella ineluttabilità con cui i suoi ingranaggi stritolano gli avventurieri umani. Uomini che si sostituiscono tra di loro e varcano oceani e ritornano al luogo di origine, mummie spiritate, documenti falsi e lettere rivelatrici, bambini dati in pasto al mondo, partigiane delle sempiterne povertà materiali e ricchezze spirituali con cui la macina storica polverizza e rende edibile il fenomeno umano: tutti i miserabili di Hugo, tutti gli umiliati e offesi di Dostoevskij, tutte le bestie umane di Zola (ma addirittura il rigo crasso del “Tom Jones” e la vanitas testamentaria di Villon) contribuiscono a questo sforzo immane, di descrizione e sussunzione poetica, che l’autentico scrittore compie, immergendo se stesso e il lettore nel fiume lutulento dei nostri genii universali, dove amori morte pene euforie lotte fatiche torture redenzioni e, insomma, l’intero stridìo dell’animale umano ci incantano per brutalità e inermità – noi, umani raccontati da uno scrittore in stato di grazia, noi continenti senzienti sottoposti a una deriva ciclopica e intima… Personaggi memorabili, fatti stupefacenti, una sapienza storica che lascia allibiti non bastano a rendere l’idea della cifra che qualifica questa scrittura. Bisogna dire della lingua: la lingua domina. Ogni convoluzione, ogni vulcanismo, ogni immagine, ogni scheggiatura, ogni riverbero, ogni geomorfismo praticato da questa prosa colloca Davide Orecchio tra gli autori italiani più notevoli di questi anni, uno scrittore che devo ringraziare insieme a pochi altri, perché proprio questi anni Davide Orecchio sa rendere celestiali e tellurici, aurei e plumbei, sulfurei e sognanti attraverso ciò che amo, che è la letteratura.
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