L’opera d’arte contemporanea è questa cosa che hanno fatto David Bowie e chiunque abbia partecipato al facimento di musica e canto e video e interpretazione: questo è ciò che io definisco uno “stato”, dove il sonoro e l’immaginale e il cromatico e il sagomato e il personaggio e la lingua sono trascesi, ovvero metabolizzati, creando non una sinestesia, bensì uno stato di possibilità, di imminenza, che pressa contro qualunque canone formale e lo fa senza aggressione esplicita, con una naturalezza che è tipica della grammatica di quelle immense forze che sono le possibilità. Quello che io desidererei fare letterariamente è questo, è questo strappare il gesto totale di libertà e incarnare la cifra del contemporaneo in una non-forma, che però è, è udibile leggibile visibile. La cifra sarebbe proprio stare dopo l’accelerazione, quando si va alla velocità della luce si vede questo universo come *fermo*. David Bowie, di cui non sono fan particolarmente acceso o entusiasta, ha compiuto quest’opera. Guardate che non è musica, non è cinema, non è pop: non è, essendo più forte che mai. Si tratta realmente della massima esperienza estetica che quest’anno di grazia mi è stato dato di compiere, insieme alla visione di certo Béla Tarr.
NB: Il titolo è ★ e non “Blackstar”: qualcosa vorrà dire.