Il quinto episodio del nuovo “Twin Peaks”

Quinto episodio di “Twin Peaks” ovvero: del compromesso narrativo. Dopo la furia visoniaria che Lynch scatena nel primo e nel secondo episodio, che culmina nel primo quarto d’ora del terzo (probabilmente il più alto risultato raggiunto dalla cinematografia lynchiana: ne scriverò in seguito, a parte), al quarto episodio Lynch adottava una narrazione dilatata, puntando tutto sullo stordimento stupefacente dell’agente Dale Cooper, tornato dalla Loggia Nera nella realtà: Cooper si incarna al posto di un certo Doug, un assicuratore sposato con Naomi Watts, intraprendendo un percorso di iniziazione nell’assurdità del nostro piano di veglia e apparendo rallentatissimo, privo di memoria, una sorta di super Chance il Giardiniere, ma declinato à la Tati, cromaticamente e per l’incoerenza della velocità e la mimica. Questo “schlemiel”, che attraversa la tradizione ebraica e poi tutto il canone cinematografico, raggiunge esiti esilaranti o comunque impone una percezione alteratissima nello spettatore. Nel quinto episodio continua a maturare questo parkinsonismo assoluto di Cooper, intrecciato al disbrigo di alcuni obblighi narrativi, dalla ripresa di certi personaggi storici di Twin Peaks (per esempio il dr. Lawrence Jacoby, che qui tiene un vlog e appare *identico* nelle forme e negli appelli al Beppe Grillo in versione M5S). Appare anche il personaggio femminile che si pensa essere erede di Laura Palmer. Il punto narrativamente fondamentale è dato dalla scena in cui il doppelgänger pellerossa di Cooper si specchia e subisce un morphing tra il suo volto e quello del demone Bob. E’ puro tessuto connettivo. Davvero mi risultava intollerabile la lentezza idiota dell’agente Cooper nel quarto episodio, tuttavia era congeniale a una dilatazione che, negli ultimi anni, non si era apprezzata al cinema o alla televisione e, quindi, sollevava il tutto a intensità artistiche inaudite, il che dava la sensazione di insopportabilità. Alla quinta tappa di questo eccezionale revival, che si configura come il capolavoro più alto e complesso nell’opera lynchiana, il meticciato tra storie e derive è purtroppo un chapitre-repos, non privo di puntate acutissime nella storia della visione, però compromesso dal compromesso. E’ sempre difficile dare addio alla narrazione. Si attende con più impazienza il sesto episodio, perché a questo snodo si è creata l’attesa circa quello che accadrà drammaturgicamente. Per quanto concerne me, io vorrei solo assistere alla Loggia Nera e alle vicende del doppelgänger pellerossa dalla pelle ramata e dalla cofana incredibile.

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