Una nota su Tommaso Pincio in “Diario di un’estate marziana”

Scrive Tommaso Pincio nel suo recente “Diario di un’estate marziana” (Perrone):

“Il vincitore riluttante. Mai fidarsi delle foto, sono ingannevoli, nient’altro che aforismi. I fotografi rincorrono il più grande maestro della fuga, il tempo, prendendogli quello che possono, gli attimi che riesce loro di strappare e non è detto che questi attimi siano così significativi come ci appariranno quando, a distanza di anni, li osserveremo in ogni dettaglio, fino a scorgervi un racconto, una logica, una ragione che non sia soltanto quella del caso”.

L’oggetto privilegiato della flânerie di Pincio, in questo libro, è, come si sa, Ennio Flaiano: persona storica, personaggio storico. Non sono sicuro che si tratti di flânerie, perché non sono sicuro che qui l’autore si muova. Diciamo che si muove. Come si muove? Pincio non cerca di strappare altro che attimi, continua a strapparli, sembra che fotografi un po’ o che guardi qualche fotografia e si muova di conseguenza. Se fotografa, non può continuare a farlo ogni istante, altrimenti sarebbe un video. Le fotografie, questo prodotto della nostra azione di umanità degli ultimi centocinquant’anni rispetto al mondo, che fine fanno, se fanno una fine? Muoiono forse? Forse si ricollocano ora in una situazione rivoluzionata con violenza: le fotografie non strappano più al tempo quello che possono, poiché il tempo non è più il migliore maestro della fuga. E’ fuggito talmente tanto, il tempo, che è un po’ ovunque, le sue peculiarità non si depositano in fermo immagine essi stessi peculiari. Bisognerebbe andare oltre e trattare di ciò che succede alle immagini, ma le fotografie non coincidono le immagini: sono depositi produttivi di immagini. La testimonianza delle fotografie non arride in questo momento a chi tenti di trarne un racconto, una logica, una ragione. Si fatica a immaginare chi, dopo un viaggio, dopo avere scattato la fiumana oggi abituale di istantanee, si ponga a studiarle, le investighi, resti nelle possibilità narrative che esse possono suggerire. La “ragione del caso”, per stare precisamente alle parole di Pincio, da un lato è un’eversione del tempo a cui la letteratura ha offerto i suoi inesauribili atti di aggressione e protezione: storia, storie di storie, coincidenze, salti, avventure – destini. Se tuttavia il tempo non è un maestro di fuga, cioè non compie un percorso che lo porta semplicemente via, e dunque non fugge e forse in qualche modo resta o staziona o dilaga o occupa tutta l’atmosfera – se è così, la “ragione del caso” non produce e non esplica alcun destino. Destino: questa figurazione che finora tanto ha parlato nelle arti e nelle percezioni di noi tutti. Già non sono tali le fotografie generate dalle attuali, ancorché primitive, intelligenze artificiali, che sono tutti frame con una narrazione inequivoca e leggibile o combinatoria al proprio interno, piccole parti di un video che né qualcuno né nessuno vede poiché chiunque può vederlo: nessun destino, in quelle non fotografie generate. Sembra di trovarsi di fronte alla chiusa di una famosa elegia del poeta Andrea Zanzotto: ““Una volta ho interrogato la Musa””: che destino, qui!, qualcuno interrogò la Musa, qualcuno lo dice o lo ha detto, tra virgolette, ora non la sta interrogando, forse è una citazione letteraria, la risposta della Musa per chi scrive e per chi legge era importante e forse lo sarebbe anche ora, possiamo addirittura ricordarci di averla fatta la domanda alla Musa ma chissà quando e come, e Flaiano fu davvero fotografato. Questo verso nella poesia di Zanzotto era l’ultimo, chiudeva il componimento e si rimane lì, con la poesia che è finita ma vai a dire se veramente è finita. E cosa succedeva quando una poesia finiva? E cosa succederebbe oggi, se finisce una poesia? Cosa e quale sarebbe oggi una poesia scritta oggi? C’è tuttavia un però. Mai fidarsi non delle fotografie, ma degli scrittori. Il più grande maestro della fuga, che è lo scrittore, aveva messo all’inizio tutto ciò che può essere il tutto, per noi che viviamo qui ora, in questo mondo e anche nel mondo dei libri: nell’incipit del brano, come motivo di ripresa e riassunto di ciò che aveva trattato prima, Tommaso Pincio aveva utilizzato un’ellissi: “Il vincitore riluttante”. Forse chiunque è un vincitore riluttante di questo non esserci più ed esserci ancora di fotografie e di tempo che fugge, di libri che si sfogliano al vento nei rendering degli autocad o su rare panchine in parchi pubblici, nel mondo in cui forse non accade più che si muovano i fantasmi. Forse questo è il mondo e il momento in cui i fantasmi stanno svanendo, muoiono dopo essere morti prima come corpi solidi. Forse questo “forse” è il libro di Pincio, i libri di Pincio, da prima e di qui e a venire.

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