C’è una domanda che, a mio parere, merita una risposta certa e pronta da parte dell’editoria: perché non viene pubblicato da case editrici di una certa stazza quantitativa ciò che scrive Valter Binaghi? E’ uno dei più problematici e complessificanti scrittori di questi anni, è un narratore che fa trapelare il teologico attraverso le storie, è un creatore di finzioni che ci mettono spalle al muro rispetto a verità storiche (collettive e personali) e ingaggi filosofici e metafisici. Quanto si è detto su queste pagine (male e di sfuggita: solo per mancanza di tempo, però) a proposito dei libri di Vasta e Falco e Paolin, si potrebbe dire (in altro modo) a proposito di testi come I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano o Devoti a Babele (a proposito di quest’ultimo: qui la mia recensione su Carmilla, la quale esordisce con la medesima domanda che pongo ora).
Ora Binaghi è in cerca di editore per I custodi del Talismano (di cui qui l’incipit), un romanzo che ho letto soltanto parzialmente (sempre perché soffocato dagli impegni). Non mi vergogno a sbilanciarmi: va pubblicato presso un editore di stazza importante. Ciò che succede all’allegoria e al simbolo in questo romanzo mi è chiaro sin dalle prime pagine, e lo giudico un passo importante per il romanzo contemporaneo italiano. La lingua diviene secondaria a fronte dell’accerchiamento che Binaghi conduce in assedio al simbolico. Si tratta di un romanzo storico che ha a che spartire con certa narrazione erodotea ben più di un punto, tranne uno: qui è forte l’impulso verso lo svuotamento dell’introspezione, tutta giocata in senso tragico, per costruire una distanza che permetta la scena tragica.
Che gli editori non si muovano per pubblicare – e velocemente – questo autore: ecco un mistero degno del mago Alexander, poiché per qualunque lettore il mistero non è tale e si capisce benissimo che i baracconi editoriali sono votati alla fine di se stessi, non alla fine dell’umanismo.
Ecco un estratto da un inserto del libro (gli inserti sono fondamentali, costituiscono una narrazione avviticciata a quello che sembrerebbe il tronco principale della supposta “storia”).
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da I CUSTODI DEL TALISMANO
di Valter BinaghiIl giorno prima di Samain, nell’ora che il sole manda l’ombra più lunga.
Scegli una radura tra gli alberi, ben illuminata ma non così grande che tu non possa attraversarla in trenta passi. Al centro pianta un palo non grosso, non sottile, alto quanto i tuoi occhi, e quello sarà il Centro del Mondo. Servendoti dell’ombra traccia un quadrante, e otterrai le quattro porzioni del mondo, che chiamerai così. Quella che guarda al sole nascente è la parte dell’orso, quella del sole calante è la parte del salmone. Quella che guarda alle terre fredde da cui vennero gli antenati è la parte del cinghiale, quella che guarda alle terre calde è la parte del corvo.
Dopo aver sacrificato a Lug il gallo bianco asperso d’acqua pura, ucciso col ferro e poi bruciato in ogni sua piuma al fuoco sacro, chiederai al dio il dono della parola, dell’ascolto e della mente.
Poi, nel tempo che occorre al fuoco per consumare le carni fino all’osso, osserverai con grande attenzione tutto ciò che accade nelle quattro parti del mondo, e gli esseri che vi si manifestano. E vi sono tre specie di esseri in ogni parte del mondo: quelli che vi si trovano, quelli che vi giungono e quelli che se ne vanno. Da essi conoscerai ciò che gli dei hanno stabilito per il futuro.