Un racconto di uno dei maestri della narrazione metafisica, Friedrich Dürrenmatt. Il Torturatore risale al 1943 e consiste in una sorta di Book of Job al contrario, condensato attraverso una paratassi estrema, che valica perfino la forma delle istruzioni in sceneggiatura, per assestarsi in una terra di mezzo: oggetto narrativo che non è romanzo, non è poesia, non è racconto, non è prosa poetica. Questo spazio in cui si assesta l’oggetto scritto di Dürrenmatt è per me il contemporaneo.A motivo di questa contemporaneità dell’oggetto lo propongo, in senso esemplare, più che paradigmatico, poiché ritengo che oggi il problema della narrazione consista nel raggiungimento di diapason, nell’attivazione dell’oggetto estetico, nella intensificazione di momenti esperienziali. Si tratta di smentire i pareri che, dell’autore elvetico, diedero Saul Bellow e Kurt Vonnegut, riducendo la sua narrazione a narrativan e l’appoggio estetico per intensificare l’oggetto come “idea geniale”. Dicharò infatti Saul Bellow:
“Dürrenmatt scrive drammi e racconti polizieschi “colti”, animati da un’intelligenza sottile. Scrive con eleganza, scrive per tutti, sa essere divertente, ma non tradisce mai il taglio ‘alto’ della sua penna. A volte, come scenario, utilizza l’Impero Romano nel periodo della decadenza. Idea geniale! Potremmo paragonare Dürrenmatt a un avvocato che lavora per i propri clienti con obiettività assoluta, senza mai farsi condizionare dalla loro innocenza o colpevolezza”.
Kurt Vonnegut utilizzò addirittura la “meccanica” come metafora descrittiva:
“Quando si parla di Friedrich Dürrenmatt, va detto innanzitutto che i suoi racconti e suoi romanzi sono orologini svizzeri di valore. Meccanica impeccabile, di quelle che non tradiscono. Immagini che luccicano in acquari ben illuminati, piccole marionette che si agitano in scene di amore avidità follia crimini politica speranza. Le marionette sono, appunto, marionette, quindi fanno quel che dice chi muove i fili. Che tuttavia, detto fra noi, è dotato di uno spirito e di una sensibilità sbalorditivi”.
La traduzione da Dürrenmatt è di Umberto Gandini, per l’edizione Feltrinelli.
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IL TORTURATORE
di FRIEDRICH DÜRRENMATT
I massi squadrati sono morti. L’aria è come pietra. La terra preme da ogni parte. Acqua fredda stilla dalle fessure. La terra è in suppurazione. L’oscurità incombe. Gli strumenti di tortura sognano. Il fuoco brilla nel sonno. I tormenti aderiscono alle pareti. Lui è rannicchiato nell’angolo. Il suo orecchio spia. Le ore strisciano. Si alza. Su in alto si apre una porta. Il fuoco si sveglia e avvampa rosso. Le tenaglie si muovono. Le corde si tendono. I tormenti lasciano le pareti e si calano su tutti gli oggetti. La camera di tortura comincia a respirare. Passi si avvicinano.
Egli tortura. Le pareti ansimano. I massi urlano. Le lastre di pietra mugolano.
Dalle fessure guarda l’inferno, gli occhi sbarrati. L’aria è piombo rovente. Il fuoco cola sulla carne bianca. I pioli delle scale si piegano. I secondi sono eterni.
E’ di nuovo rannicchiato nell’angolo. Vuoti gli occhi, le mani come ghiaccio. I capelli appiccicati. La camera di tortura è stanca. Il sangue si disperde. I massi squadrati s’irrigidiscono. La nausea scorre attraverso le inferriate. Il silenzio prende alla gola. Il tempo si sveglia. I secondi avanzano a tentoni e le ore si addossano luna sull’altra. Il fuoco lambisce gli ultimi carboni.
La notte giace sulla città. Le stelle sono gialle. La luna è marrone. Le case serpeggiano sul terreno. Percorre una strada ed entra nell’osteria. Le fiaccole ardono nere. La gente fugge. Il vino è sangue vecchio. Qualcuno grida. Una sedia smossa in lontananza. Echeggia stridula un’oscenità. Una donna dalla pelle bianca. Su di lei è poggiata una mano. La porta si apre. Si fa silenzio. Uno straniero gli si siede accanto.
Guarda le mani dello straniero. Sono sottili. Le dita giocano con un bastone. Il pomo d’argento manda bagliori. Il volto è pallido. Abissi gli occhi. Le labbra si aprono. Lo straniero comincia a parlare.
Sei il torturatore. Sei l’ultimo degli uomini. Il più odioso. Posseggo molto oro. Ho moglie e due figli. Ho amici. Un giorno non avrò più niente. Diverrò vecchio. Morirò. Imputridirò. Sarò quello che sei tu. La mia vita è una discesa nel nulla. La tua resta uguale nel nulla. T’invidio. Sei l’uomo più fortunato. Ho assaporato ogni piacere. Ma il mio piacere si è dissolto. E’ rimasta la nausea. Il tuo piacere è inesauribile. E’ eterno. Tu torturi. Sotto le tue mani l’illusione uomo si spezza. Rimane l’animale urlante. Il minimo tuo movimento crea paura infinita. Tu sei l’inizio e la fine. Ti faccio una proposta. Scambiamoci le parti. Avrai mia moglie. Il mio oro. La mia gioventù. Il mio potere. Fammi essere torturatore. Ritroviamoci fra due anni. Non lo dimenticare. Altrimenti rimarremo scambiati per sempre.
Le parole dello straniero gli martellano le orecchie. Cade un bicchiere. Il vino scorre sul tavolo. Schegge di vetro sul pavimento. Guarda il volto dello straniero. E’ bello. Il suo abito è ricco. Bacia le mani sottili. Sente se stesso ridere.
Entrano in una sala. Le ombre volano sulle pareti. Le finestre sono vuote. Pipistrelli pendono dal soffitto. Il pavimento è uno specchio. Il fuoco sacrificale arde azzurro nell’ara. Il fumo sale verticale. Porge le mani allo straniero. La luce si oscura. Le ombre si staccano dalle pareti. L’aria canta. I pipistrelli sul soffitto oscillano come piccole campane. Le finestre ruotano.
L’uomo che vede è il torturatore.
Una gigantesca figura informe. Ascessi aperti. Bagliori d’una smorfia putrida. Un rosso occhio sbarrato. La pupilla è un’ulcera. La bocca sbava. Fugge. Cammina per le strade. Il suo passo si fa più tranquillo. E’ deciso a non tornare mai più. Le mani sottili giocano col bastone. Sorge il sole. Le case s’illuminano. Il cielo è un vasto mare. La gente va al lavoro. Una ragazza gli sorride.
Entra in una casa. Le pareti sono bianche. I cani indietreggiano. I servitori s’inchinano. Bacia i bambini. Viene una donna. E’ tenera. Biondi i capelli. Piccolo il piede. Egli sorride. Lei lo abbraccia. Le accarezza il petto.
La notte riposa. Il giorno è lontano. La stanza respira regolarmente. L’oscurità è calda. Lei giace nuda. La sua pelle è una nuvola.
I giorni cambiano. I mesi si accumulano. Passa un anno.
Le strade sono vuote. Le mani giocano col bastone. L’argento manda bagliori. Il cielo grava sulla terra. Il terreno è bianco. La neve scricchiola. Cammina lungo un viale. C’è un ramo sulla neve. Un bambino strilla. Il ramo è come uno strumento di tortura.
Siede in poltrona. E’ buio. Beve. Il vino è sangue vecchio. L’oscurità penetra strisciando nei pori. Il silenzio è tormentoso. Il fuoco del camino avvampa rosso. Vicino, la bianca parete ha una crepa. Ne stacca a colpi l’intonaco col tacco dello stivale. Emergono massi squadrati. Si alza ed esce. Frusta i cani a morte.
L’ora si avvicina. Dà una festa. La sala è chiassosa. I tavoli si piegano. Le luci guizzano sui volti. Le donne hanno spalle tornite. Gli uomini ridono. Le ombre volano sulle pareti. Echeggia stridula un’oscenità. La bacia. Lei apre il vestito. Il vino scorre sul tavolo. Sangue che si disperde. Si alza di scatto.
Fugge. Corre per le strade. Le case sibilano. Le torri crescono nel cielo rapide come frecce. La strada s’inclina. Le case si addossano. Gli sbarrano la via. Si fa largo e si precipita nella sala. L’ara è spezzata. Le finestre lo fissano. Il pavimento è coperto di pipistrelli morti. Aspetta. Gli tremano le labbra. Il torturatore non viene. Torna indietro, di soppiatto. Il cielo è fredda ardesia.
Pallida la sua casa. La moglie dorme. Giace silenziosa. I suoi capelli sono come oro. Solleva la fiaccola. Il fuoco si riversa sulla carne bianca. Il letto è un banco di tortura. Qualcuno geme. Il sangue è rosso.
Siede. Tace. La luce è abbagliante. Gente passa davanti a una finestra. I giudici parlano. Si alza. I giudici pronunciano alcune parole.
Il corridoio scende sempre di più. E’ stretto. Il pavimento è di pietra. Massi squadrati le pareti.
Si apre una porta. L’ambiente è quadrangolare. Un fuoco gli guizza incontro.
L’aria è umida. Un’ombra si stacca dall’angolo. Dal fuoco si levano tenaglie.
L’ombra si avvicina. Grida. E’ il torturatore.
E’ incatenato al pavimento. La sua bocca urla. Il soffitto di pietra cade.
L’aria ottura i pori. I pesi sono globi terrestri che gemono. La camera di tortura è il mondo. Il mondo è un tormento. Il torturatore è dio. E’ lui che tortura.
Un uomo grida: Perché non sei venuto?
Dio ride: Perché dovrei ridiventare uomo.
Un uomo geme: Perché mi tormenti?
Dio ride: Non ho bisogno di un pretesto.
Un uomo muore.