Decadenza della morte spettacolare: il caso Brittany Murphy

[Questo articolo è apparso su Vanity Fair, 2/2010]

Hollywood non è più Babilonia: è peggio. Per fare piangere un americano, o si è Micheal Jackson oppure bisogna farsi botulinizzare, fidanzarsi con trans grotteschi, esprimere costantemente una dose media quotidiana di cattivissimo gusto. Ci si attendeva un’onda anomala di gossip per la prematura scomparsa di Brittany Murphy, 32enne attrice protagonista di 8 Mile (con Eminem). Sulla scena, ci sono tutti gli elementi per uno Sherlock Holmes 2.0, spettacolarmente vuoto e cinico come quello che ha strabattuto i cinepattoni. Mancano cinque giorni a Natale. Il decesso è naturale (un infarto)? Oppure dovuto ad anoressia e diabete? Droghe? Il coroner si è mantiene sul vago, attende il responso tossicologico.
E poi i funerali – sconcertanti. Per l’America bianca e protestante (o almeno quella che ancora riesce a definirsi tale) sarebbe abbastanza scandalistico quanto dichiarato dal padre dell’attrice, Angelo Bartolotti, che non ha partecipato alle esequie della figlia, dichiarando: “Voglio ricordarmela raggiante, non come era ridotta negli ultimi giorni”. Come era ridotta? Sembra l’enunciazione di un giallo. Altri elementi. Brittany Murphy era stata appena cacciata dal set dell’ultimo film in cui recitava, The caller, per non meglio specificati problemi con la troupe. A divulgare la notizia della morte, una delle bibbie gossipare USA, E!. Il tutto accade sotto le feste, con gli americani che pretendono un bilanciamento alle folate di terrore qaedista. E invece nulla: non accade niente. La morte di Brittany passa quasi inosservata. Un luttuoso silenzio viene opposto ai paparazzi da Ashton Kutcher, attuale compagno di Demi Moore e in passato fidanzatissimo con Brittany. Nel deserto delle reazioni pubbliche, ha fatto notizia il critico Roger Ebert, che ha messo su Twitter il necrologio: “E’ morta giovane. Possedeva genuine qualità”. Poco più di quanto accadrebbe se morissi io.
Nella composta indifferenza, che si addice a un lutto ma non a Hollywood (il finto paradiso che pretende di garantire vita eterna), la morte naturale e silenziosa di Brittany Murphy diviene un emblema. Di cosa? Della fatica che gli Stati Uniti stanno facendo a esportare immaginario, anche attraverso il veicolo più idoneo e utilizzato nell’ultimo mezzo secolo – lo showbiz. E forse quell’incredibile spettacolo kitsch che hanno allestito per il cadavere smagrito e plurioperato di Jacko è la premessa all’ondata di silenzio sollevata da Brittany. Il divismo è in crisi, si concentra su icone indiscutibili o troppo discutibili, per creare una nube di consumo della memoria che serva a vendere gadget e inediti, lacrime più o meno autentiche e scenate famigliari uscite da fiction devastanti. O così o il mutismo. Non è questione di titoli, evidentemente. Brittany Murphy vantava un curriculum di tutto rispetto (era stata coprotagonista di Ragazze interrotte con Angelina Jolie), ma non esibisce la quota di trash necessaria a fare piangere la nazione che segue le gesta di Paris Hilton. A pochi giorni dalla scomparsa di Brittany, è stato un impazzare di cordogli rutilanti per la morte dell’ultima erede del colosso Johnson&Johnson, Casey: bionda e trentenne quanto la Murphy, molto più ricca e soprattutto trashissimamente lesbica, fidanzata con tale Tila Tequila, una tanto fine da dare per prima l’annuncio della morte dell’ereditiera – proprio su Twitter. E’ un lutto destinato al bidone della spazzatura in cui gli americani incominciano a gettare le copie dei peggiori magazine di settore. Imparate a dimenticare le leggende metropolitane che Hollywood lanciava come esorcismi davanti a cadaveri eccellenti: isole in cui Elvis era ancora in forma, avvistamenti di John Belushi, thriller eterni per Marilyn.
Quando il troppio stroppia, tutto diventa simbolico e si intuiscono le crepe. Quelle del sistema spettacolare americano sono ormai grand canyon. Brittany Murphy segnala proprio una di queste crepe. Anzitutto ciò che lascia. Vedremo Brittany nel 2010, in due film postumi, i cui titoli sono entrambi inquietanti profezie di ciò che è stato: Deadline e Abandoned, cioè Scadenza e Abbandonata. La morbosità e la curiosità tipiche degli USA non ne hanno turbato il funerale, tenutosi esattamente secondo i canoni di Six feet under, il serial HBO che ha mutato la storia della tv americana: cerimonie discrete, per quanto bizzarre, celebrate in privato, fuori dal fragore e dai flash. Ciò che conta è il fatto che si muore. Gli americani forse stanno tornando ad accorgersi che accade a tutti.

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