E’, ora, molto, difficile: invecchiare.
Lo è sempre stato e non era stato capito.
La nostra generazione è stata vittima, anche di se stessa, però anche del mondo, e di una accelerazione indebita sperimentata qua a Occidente. Inserita in un unico quadro di salti, di sismi, di singulti e, è nitido, di sangue altrui.
Pensavo: mio padre. Poco prima di morire diceva a me e mia sorella che non si riconosceva più in questo mondo. E intendeva che non riconosceva più questo mondo.
Quell’uomo aveva vissuto: i primi anni suoi nella guerra mondiale e i bombardamenti; e poi gli anni Cinquanta con il liceo e la metropoli ricostruentesi e le cose e le merci e quella umanità specifica italiana in quegli anni, i Cinquanta; il boom economico e la rivoluzione breve nei Sessanta; nei Settanta una più cupa lotta, incancrenita, metallica, e intanto l’introduzione della tecnologia che si sgancia dalla mano umana, lo strumento che rotea solitario nello spazio cosmico, inizia un’ulteriore propria e solamente sua evoluzione; la premessa dello sfascio negli Ottanta, la finanziarizzazione, un genere più insinuante e immateriale di alienazione; i Novanta con una introduzione silenziosa di tecnologia pervasiva, lontana dal suo sguardo; infine gli anni Zero, assolutamente non riconducibili ad alcun quadro precedente.
Aveva trapassato molti quadri storici occidentali e quindi aveva ceduto.
Avverto la pàtina stagnosa sulla sua lingua, il palato opaco, questo amaro di metallo che mi rende: fratello a mio padre.
Vedevo l’altra sera in amore uno helter skelter: era l’umanità dei figli ora qui.
Non attendevo questa ronda a vuoto, io, questo oscuro andare per cortili, solitario, di voltarmi, non riconoscendo ciò che mi era fino a ora stato familiare, e neanche di restare attento, minimamente essere presente a me, interrogarmi, circostanziale, allibito riguardando i miei simili dicendo quasi: addio.
Questo percepire l’esistenza è un’aberrazione, termine desunto dalla ottica. Significa: la differenza tra l’immagine effettiva, reale o virtuale, formata dal sistema e l’immagine che si voleva ottenere, immagine che di solito è bidimensionale e consiste in una proiezione geometrica della scena reale sul piano focale del sistema secondo i principi dell’ottica geometrica ideale. Le aberrazioni possono dare (di solito più sulla periferia dell’immagine che al suo centro) scarsa nitidezza, deformazioni dell’immagine, differenze tra le immagini corrispondenti ai diversi colori, non uniformità della luminosità.
Guardo, vivendo: la concrezione caleidoscopica. Essa è chiusa proprio come in quel cilindro delle minime meraviglie, sia pure con molte fosforiche assai colorate configurazioni. Questa piccola illusione è la Grande Illusione. Io sento questo.
Il mio problema consiste nelle configurazioni.
Il mio problema è consistente quando esistono le configurazioni.
Il mio problema è quanto insiste e sta insieme dentro le configurazioni.
Invecchiare si è dimostrato tanto sorprendente, che io non l’avevo visto fino a ora:
I’dico che pur dianzi
qual io non l’avea vista infin allora,
mi si scoverse: onde mi nacque un ghiaccio
nel core, et èvvi anchora,
et sarà sempre fin ch’i’ le sia in braccio.
Dunque vedendo, osserva il Petrarca, vedendola per davvero, e non per propri meriti, questa cosa, la Cosa, poiché essa si scopre da sola, si avverte un grande gelo, e non si smetterà di stare dentro il gelo fino a quando si sarà sopportati, portati da lei: la Cosa.
E ancora non sento il freddo.
Giordano Bruno:
“nell’eccesso delle contrarietadi: ha l’anima discordevole, se triema nelle gelate speranze, arde negli cuocenti desiri”
E ancora:
Ahi, qual condizion, natura, o sorte:
in viva morte morta vita vivo.
Amor m’ha morto (ahi lasso) di tal morte
che son di vit’insieme e morte privo.
Né il gelo né l’ardore. Anassagora:
Non sono separate le une dalle altre con un taglio della scure, né il caldo dal freddo, né il freddo dal caldo.
e però:
Il denso e umido e freddo e l’oscuro si è qui raccolto, dove ora (è la terra), mentre il raro, il caldo e l’asciutto s’è allontanato verso le zone esterne dell’etere.
Sentire né l’una né l’altra cosa non è non sentire.
I’allargo i miei pensieri
ad alta preda, et essi a me rivolti
morte mi dan con morsi crudi e fieri
Invecchiando, pensa Nietzsche, cioè una configurazione che secerne una configurazione meno fisica:
l’esigenza di redenzione diventa sempre più debole
In effetti, più entro nell’età, più aderisco alla misura del tempo, e più desidero astenermi dalle costruzioni della storia dell’umanità. Diminuisce la capacità di considerare l’esistenza un problema.
Ricordo: alla base del faro non c’è luce.
Cediamo agli affetti. Sono decidui e mostreranno quanto cedere c’è nello stare in essi pienamente. Portano oltre se stessi. Il dolore è fatto di calma gioia, la gioia è fatta di una gioia altra e calma. La calma gioia è tutto, in tutto. Sia abbandonata la configurazione.
Apprendimento al distacco con tutto il corpo, cioè con parte della mente: invecchiamento.
Pensa per te.
Io non mori’ e non rimasi vivo;
pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo.